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KOHAKU
SCUOLA DI AIKIDO
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L’Aikidô è un’arte marziale giapponese nata nei primi anni ‘40 dalla visione e dall’esperienza del suo fondatore Ueshiba Morihei, praticante esperto di diverse scuole antiche di bujutsu, in particolare il Dayto-ryu Aikijujutsu appreso dal maestro Takeda Sokaku. Nel 1964 atterra all’aeroporto di Fiumicino il maestro Tada Hiroshi con il compito di diffondere l’Aikidô in Italia. Pochi anni dopo fonda l’Aikikai d’Italia e ne diviene il direttore didattico, carica che ricoprirà fino al 2023. Negli anni le arti marziali hanno subito un graduale processo di cambiamento e se alcune, pur conservando alcuni aspetti tradizionali, si sono evolute verso una pratica di tipo sportivo-competitiva, l’Aikidô ha mostrato una maggiore propensione verso uno studio con una forte connotazione marziale unita ad uno spiccato elemento spirituale. L’Aikidô non è un’arte marziale semplice. Il fondatore usava dire: “ci alleniamo perché è difficile, non perché è facile”. Sembra ovvio ma in un mondo che semplifica e banalizza gli sforzi, appiattendo i risultati e preferendo una resa mediocre da parte delle persone in nome di una società del consumo ove bisogna interrogarsi poco, approfondire ancora meno e cercare nei bisogni materiali l’appagamento al senso di vuoto che ci circonda, anche lo studio assume connotati spesso squalificanti. L’Aikidô è invece un’arte marziale difficile che richiede un rigoroso e costante impegno fisico, una mente attenta ed una disponibilità alla ripetizione del gesto. L’Aikidô e i suoi principi ci rieducano allo studio, alla dedizione nel seguire un percorso non per il risultato ma per il gusto di migliorarsi ogni giorno. Chi è adulto forse potrà desiderare di tornare al rispetto di regole chiare, che si sono perse nel tempo. Chi è più giovane le scoprirà e ne potrà finalmente trarre giovamento.

La pratica dell’Aikidô, in base alle specifiche attitudini individuali, può aiutare a difendersi, ma la domanda che dobbiamo porci è un’altra: potevamo evitare di trovarci in quella situazione che ci ha obbligati a doverci difendere? Un diverbio tra due persone iniziato pacatamente, il più delle volte per futili motivi, può pericolosamente degenerare in pochi secondi: una parola offensiva, un tono di voce alto e aggressivo, una distanza ravvicinata, un gesto improvviso ed intimidatorio. Bisogna sempre evitare di arrivare ad una situazione dalla quale non è possibile tornare indietro in maniera pacifica imparando a porci noi per primi nella giusta condotta e non affidare questo ruolo all’altro. Non c’è nulla di male, se le dinamiche lo consentono, e raramente negano questa possibilità, nel fare un passo indietro, nel porsi in maniera gentile, nel’essere tolleranti, nel non cedere alle provocazioni mostrando sicurezza e non nervosismo, equilibrio e fermezza e non spavalderia e voglia di sperimentare l’efficacia delle tecniche imparate in dojo con compagni “ben disposti”. Laddove, extrema ratio, si è costretti ad intervenire, per sé o per qualcun altro, l’automatismo delle tecniche ripetute negli anni centinaia di volte in qualche modo riuscirà a fare la sua parte, ma piuttosto che provare ad uscire da situazioni d’emergenza, spesso irreversibili e imprevedibili nel loro svolgimento, con esiti mai scontati anche contro il più improbabile degli aggressori, meglio imparare ad essere lungimiranti e predisporsi tempestivamente nel migliore dei modi per capire come poterle affrontare senza esserne sottomessi.

La pratica dell’Aikidô, sebbene possa essere esercitata da soli, in particolare nell’uso delle armi tradizionali come spada, bastone e pugnale, si presta ad essere una pratica fra due o più persone, attingendo la sua validità dalla condivisione dell’energia del compagno e del gruppo. L’Aikidô, per il modo in cui si studia e per le sue caratteristiche, è una metafora perfetta delle relazioni umane: attraverso il corpo si percepisce in un attimo ciò che con la mente necessiterebbe di molte riflessioni. Lo stesso vale per il cuore che spesso intuisce ma non sempre mette a fuoco. Il corpo ci parla di quello che proviamo e di quello che pensiamo. L’Aikidô raffina quest’intuito spingendo il praticante ad approfondire non solo il lavoro su se stesso ma anche le emozioni dei compagni. Questa pratica può portare l’allievo a rielaborare completamente le relazioni che vive, imparando a gestire in maniera più consapevole i rapporti di lavoro, familiari, sentimentali e quelli nella comunità nella quale si trova ad interagire. L’Aikidô non vuole formare nuovi “soldati” pronti a rispondere alla violenza con violenza. Piuttosto, un approccio energico abbinato ad un uso sapiente del corpo, con la giusta disponibilità, anche mentale, possono aiutare ad affrontare meglio le difficoltà. Questa è la vera sfida che ognuno di noi “combatte” ogni giorno e che vale la pena approfondire attraverso una disciplina che nasce da subito con questi principi.

Sì, tutto commisurato:
1) all’età biologica
2) alle competenze maturate nelle discipline marziali e/o sportive precedentemente praticate
3) al livello di preparazione psico-fisica di partenza
4) alla qualità e quantità di studio applicata alla disciplina.
Tuttavia, dobbiamo sempre chiederci quali siano gli obiettivi e le motivazioni che ci spingono a dedicare tempo, attenzioni, risorse e fatica verso lo studio di questa disciplina.

Praticare Aikidô non è pericoloso ma ci si può far male. Non dobbiamo dimenticare che è pur sempre una disciplina marziale con leve articolari, proiezioni e cadute. Tuttavia, l’allenamento è sempre proporzionato al livello di ogni allievo. Un allievo principiante imparerà i tipici movimenti circolari dell’Aikidô dando il tempo alle articolazioni di abituarsi gradatamente alle varie sollecitazioni. Imparerà a cadere in avanti, indietro, in piedi da fermo e in movimento, aumentando progressivamente la fiducia verso la terra – spesso vista come un enorme ostacolo – la flessibilità vertebrale e il dinamismo generale. Ad un allievo principiante si insegnerà sin dal primo giorno ad eseguire le tecniche da tori “sentendo” il proprio corpo e quello del compagno uke e fino a che punto è in grado di controllare la tecnica. Non serve a nulla praticare con forza se non si è padroni della tecnica, si rischia solo di fare e farsi male; man mano che si crescerà tecnicamente aumenterà progressivamente anche l’intensità della pratica unita alla qualità del movimento e contestualmente alla sua efficacia. Uke, colui che riceve la tecnica, imparerà ad ascoltare i limiti del proprio corpo e a segnalare tempestivamente a tori l’avvenuta leva, in particolare sulle articolazioni mobili di polsi, gomiti e spalle, evitando così di andare oltre la disponibilità naturale di tendini e legamenti. È responsabilità dell’insegnante avere particolare cura nel rispettare i tempi di apprendimento e le caratteristiche psico-fisiche-attitudinali di ciascun allievo, cercando da una parte di spingere l’allievo ad avere più coraggio laddove dimostri maggiori incertezze, e dall’altra di lavorare sempre in sicurezza limitando alle sole cause accidentali la possibilità di infortuni.

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